People writing better than me︎
(About me)2021 –

Arianna Desideri
15.05.2021
Spazio In Situ
Evento 01
Artist 01. Jacopo Ernesto Gasparrini
Arrivo senza aver fatto colazione. E subito si prospetta una visita che mi richiede di essere lucida. Eppure, me la cavo bene. La mostra, da subito, è visitatissima. Un boom di gente, sin dalle 11:00. Conosco Fabien Zocco, un artista di Lille che porta avanti una ricerca che mi sorprende molto, sul dialogo tra umano e robotico, cercando punti di contatto e transfer. Porta in mostra due opere: una in cui cerca di insegnare all’algoritmo la lingua italiana, un’altra in cui traduce in movimento di mani un dialogo di Odissea nello spazio.
Parlo, parlo e riparlo. È complesso spiegare qualcosa a un* sconosciut*. È difficile aprirsi all’imprevisto della critica, della domanda a cui non avevi ancora pensato, dell’incomprensione che ti fa capire di dover moltiplicare la chiarezza del concetto.
1. “Ah, allora sei tu la curatrice della mostra!”, “No, io sono la curatrice di un progetto dentro una mostra di artist*, la mostra in sé l’ha curata il team di ISIT.magazine”
2. “Certo che la tua tenda si vede proprio bene eh, un po’ invadente”
3. “Quindi hai preso il format di ISIT e l’hai replicato?”
4. “Ti sei cacciata proprio in un bel guaio con tutti ‘sti artist*, auguri”
Questi solo alcuni dei commenti. È vero che, spesso, si tende a ricordare di più le cose spiacevoli, che ti pizzicano, più che quelle belle, che ti accarezzano. Ma da lì si parte, si riflette, si va oltre, si intraprende una nuova direzione o si continua ostinat* sui propri passi.
Può sembrare assurdo, ma non vi è stato attimo in cui io abbia condiviso con Jacopo una visita nella tenda. Ci siamo scambiati, intervallati, persi e ripersi; una ha spiegato il lavoro dell’altro e viceversa, ma mai insieme il lavoro insieme. Sarà forse un segno o una spontanea situazione rispecchiante un rapporto? Con Jacopo, devo dire, vi è stata un’immersione parziale nel lavoro, piuttosto un occhio esterno, una condivisione di un percorso avviato. La sua ricerca sul trofeo era già in itinere, già concretizzata in serie. Le mie sono state letture sul concept e consigli al livello installativo. Forse un classico rapporto curatrice-artista, nato però come un’anomalìa su Tinder, che passa attraverso specchi rotti. Una metafora.
Verso le 17:00 prendo una pausa e mangio 2 tramezzini con Sofia, Chiara ed Erika al bar. Alle 18:00, al mio ritorno, lo spazio quasi straborda. Incontro Alessandro, incontro Luca, arrivano le mie amiche-sorelle-compagne di vita, per supportarmi, sorprendersi e bere qualche birra. Ecco, le birre in lattina a Spazio In Situ non mancano mai, sono come un marchio di fabbrica, un elemento distintivo di ogni opening. La generosità è di casa.
Ilaria Leonetti
Non siamo in grado di farne a meno anche se non ha alcun valore.
La società delle immagini è sia quella dell’intrattenimento ma, anche e soprattutto, quella della sorveglianza. Dove l’invisibile diventa visibile questa assume valore derivante da precostrutti intrinsechi a meccanismi, ai più, ignoti. Fra rivoluzioni digitali e una economia basata su un sistema capitalista sempre più esacerbato ci ritroviamo invischiati in un mondo che, in seguito alla rivoluzione digitale, è sovrappopolato da immagini di ogni tipo, nel quale chiunque può essere sorvegliato ventiquattro ore al giorno e nel quale non sembra più esistere privacy.
Attraverso le azioni quotidiane che svolgiamo sui social, come ad esempio postare un’immagine su Instagram, non facciamo altro che consegnare in pasto a società di controllo dati preziosi su chi siamo, quali sono i nostri gusti, cosa ci piace e cosa non ci piace. Divenendo noi stessi al tempo stesso sia vittime che carnefici. Siamo noi a condividere in rete le nostre immagini, i nostri dati e parte della nostra vita privata. In questo clima degno delle più fantasiose distopie, cosa può rappresentare una soluzione? Gli strumenti digitali possono divenire, oltre che uno strumento di controllo, una via di fuga?
Siamo noi a decidere cosa diffondere in Internet ed è da questo che dobbiamo ripartire per renderci meno vulnerabili. Sfruttando la rete nel modo giusto saremmo in grado di imparare a gestire la nostra visibilità̀ a confonderci e confondere, usando a nostro favore la proliferazione incontrollata di immagini. In questo senso il lavoro di Jacopo Ernesto Gasparrini si muove su una linea che contrasta direttamente il concetto di autorialità artistica servendosi dell’ausilio dei nuovi media per la creazione dei propri lavori. Ispirandosi agli strumenti propri del marketing, in particolare l’automazione dei dispositivi digitali, imita il meccanismo di condizionamento. Gli agenti che conoscono il nostro nome, i nostri gusti e preferenze meglio di noi stessi sono in grado di attirare la nostra attenzione e convincerci della coscienza e originalità delle nostre prese di posizione.
In questo senso non si tratta altro che di tecniche di marketing, certamente raffinate e all’avanguardia ma nulla più di questo. I nostri gusti sono dettati nient’altro che da motivazioni estrinseche volte a compiacere l’altro. La ricerca di gratificazione e accettazione ci spinge, però, all’autoconvincimento della genuinità dei nostri interessi. La serie di progetti riguardanti i trofei ha origine direttamente da questo pensiero: la vittoria, in ambito sociale, non è altro che un mero inganno.
La serie dedicata ai trofei nasce inizialmente tramite la creazione di tele utilizzando stagno e opere raffiguranti coppe realizzate con mollica di pane e didò. Materiali poveri che sottraggono valore al significato della raffigurazione: il trofeo è simbolo di vittoria ma è un oggetto compromesso fin dal principio, essendo destinato alla decadenza prossima. Si trattava, però, di oggetti dotati di un valore artigianale. Continuando la ricerca Gasparrini ha deciso di estromettere il ruolo dell’artista come creatore in modo da sottrarre ulteriormente valore al significante. Attraverso l’utilizzo di tecniche di Intelligenza Artificiale (AI) l’artista non è più il creatore manuale dell’opera d’arte, estromettendo così la valenza autoriale del gesto artistico.
L’AI è in grado di generare opere d’arte completamente diverse fra loro ma allo stesso tempo assolutamente equivalenti e sostituibili. In questo senso la forma, qualunque essa sia, perde il suo significato originale in quanto l’opera è realizzata da una entità che non ha coscienza di cosa significhi il concetto di vittoria. I trofei esistono solo in funzione di una gratificazione personale, dettata dalla nostra sete di affermazione e di autocompiacimento, che con la proliferazione dei nuovi social media è sempre più irrefrenabile in quanto siamo posti sempre più sotto i riflettori. La continua esposizione ai giudizi e la facilità con la quale accediamo a informazioni sugli altri tramite i social ci rendono vulnerabili e in costante conflitto con l’immagine che abbiamo di noi stessi, acuendo la necessità di comparazione e superiorità, seppur fittizia. Allo stesso modo i trofei realizzati da Gasparrini tramite l’ausilio di AI e stampati in 3D divengono simulacro di una vittoria e affermazione solo apparente.
Si muove sulla stessa linea l’ultimo progetto in progress “Soft Spam”, imitando le tecniche di vendita più aggressive, ovvero le mail di spam che ci ritroviamo nella posta indesiderata, Gasparrini crea dei lavori sotto forma di testo che sembrano creati appositamente per chi le riceve, gratificando l’ego personale sempre alla ricerca di unicità e specificità. L’idea che qualcuno abbia impiegato il proprio tempo a scrivere una mail appositamente per una persona in particolare si ricollega all’idea di come si sia sempre alla ricerca di attenzione e contemporaneamente, sovrastati da quella prodotta dai social media, vi si rifugga.